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Dopo l’età antica, le prime notizie sull’area dove sarebbe sorto l’attuale palazzo Spalletti Trivelli si trovano in documenti del Duecento, che vi indicano la presenza di due mulini sulle rive di un canale e di una strada. In tempi successivi, dal 1415, vi si trovava anche l’osteria del Cavalletto, che dopo il 1497 fu trasferita altrove.

Proprio a partire da questa data si può quindi situare la costruzione del palazzo, la cui forma quadrangolare con cortile interno si ispirava a modelli ferraresi, raffigurato nella pianta di Reggio pubblicata da Giusto Sadeler nel 1606 (fig. 1). 

Foto 1 - Giusto Sadeler, Pianta di Reggio Emilia, incisione a bulino, 1606

 

Nel 1685 l’edificio, allora di proprietà del conte Paolo Bossi, fu acquistato dai fratelli Fabrizio e Orazio Guicciardi, facoltosi imprenditori nel campo dell’industria della seta fino al 1695, anno in cui abbandonarono l’attività dopo avere ottenuto il titolo nobiliare. L’acquisto del palazzo che si affacciava, allora come oggi, sulla via Emilia, rientrava senz’altro nella logica di accrescere il prestigio familiare e comportò una radicale trasformazione dell’edificio.

Alla metà del Settecento dovrebbe infatti risalire la facciata, scandita su tre piani a modello dei palazzi romani. Il responsabile dell’intervento è individuabile in Giovanni Maria Ferraroni (1662-1755), uno degli architetti più significativi nella Reggio del tempo: nell’androne di accesso al palazzo, incontriamo infatti una sorta di sua “firma”, costituita dalla sequenza di colonne libere che ricorre nei suoi progetti di architettura sacra (fig. 2). 

Foto 2 - Atrio d’ingresso di palazzo Spalletti Trivelli, XVIII secolo

 

Grazie alle cure dei suoi proprietari il palazzo raggiunse alla fine del secolo l’apice del suo splendore, al punto tale da essere ritenuto degno di accogliere Napoleone, giunto in città con la scorta di duecento dragoni la notte del 21 giugno 1796, durante la Campagna d’Italia.

A seguito dell’instaurazione della Repubblica Cispadana, i Guicciardi, dopo aver seguito il duca d’Este nell’esilio austriaco e dopo la Restaurazione del 1815, scelsero di abitare preferibilmente a Modena e nel 1830 vendettero il palazzo al conte Gianbattista Spalletti Trivelli.

I nuovi proprietari, di origine svizzera, provenivano anch’essi dall’attività di produzione e commercio della seta, ma l’avevano abbandonata nel 1787 con investimenti destinati al patrimonio terriero. Si deve agli Spalletti Trivelli un generale ammodernamento del palazzo in stile neoclassico, che si era diffuso in età napoleonica anche grazie ai programmi d’insegnamento delle Accademie d’arte.

Anche a Reggio, sin dal 1797, era stata creata una scuola pubblica per l’insegnamento gratuito delle “Arti del Disegno, d’Architettura, di Plastica e Scoltura, di Figura, d’Ornato, di Prospettiva Teatrale e di Musica”. A questa accademia erano legati i tre maestri ai quali i conti Spalletti Trivelli affidarono il rinnovamento del loro palazzo.

La ristrutturazione architettonica del palazzo fu affidata a Pietro Marchelli (1806- 1874): figlio di Domenico, già architetto di fiducia della famiglia Guicciardi, Marchelli si era laureato come ingegnere e architetto proprio nel 1830, e continuò l’attività del padre ereditandone anche gli incarichi di Ingegnere del Pubblico e di docente alla Scuola di Belle Arti di Reggio Emilia.

Si deve invece a Prospero Minghetti (1786-1853) la decorazione di numerose sale del palazzo; prima di essere chiamato dai conti Spalletti Trivelli, l’artista, dopo una prima formazione a Reggio, si era trasferito all’Accademia d’arte di Bologna e poi a quella di Firenze, unendo all’attenzione per la cultura classica un profondo interesse per il classicismo seicentesco, che gli derivava anche da un soggiorno a Roma tra il 1816 e il 1818. Ritornato in patria, lavorò come pittore da cavalletto e decoratore di interni e dal 1825 fu nominato docente di “pittura, plastica e paesaggio” nella scuola d’arte di Reggio accanto a Vincenzo Carnevali.

Negli anni immediatamente successivi al 1830, quando venne incaricato di decorare casa Spalletti Trivelli, Minghetti era dunque un artista ormai rinomato in città ed è molto probabile che l’idea di ricorrere, per la decorazione dei soffitti delle sale, a soggetti tratti dalla mitologia classica quali le Muse, Venere e le vicende di Bacco, sia stata da lui proposta ai committenti sapendoli disponibili a seguire una tradizione ben consolidata di ispirazione neoclassica.  Sul soffitto con Apollo sul carro del Sole con il corteo delle Ore (fig. 3), in un ambiente molto suggestivo che era lo studio del conte Spalletti Trivelli (fig. 4), l’artista prende a modello il notissimo affresco di identico soggetto eseguito da Guido Reni nel casino Pallavicini Rospigliosi a Roma, dimostrandosi quindi fedele ai maestri della tradizione della pittura bolognese del Seicento.

Foto 3 - Prospero Minghetti, Apollo sul carro del Sole, particolare del soffitto dello studio del conte Spalletti Trivelli, 1832- 1833


Foto 4 - Studio del conte Spalletti Trivelli, 1832-1833

 

Le decorazioni messe in campo Minghetti, a tempera su muro, dovettero godere di una rapida fortuna, dal momento che già in una lettera scritta dal pittore nel 1832 al collega Romualdo Belloli, l’artista menzionava la richiesta, avanzata dal conte Sormani, di dipingere per lui un soffitto con le Storie di Bacco identico a quello realizzato in casa Spalletti e affermava che aveva dovuto rifiutare perché “continuovamente occupato pe’ signori suddetti”.

Di formazione differente era invece lo scenografo Vincenzo Carnevali (1778-1842), a lungo impegnato presso i due teatri cittadini, l’attività dei quali aveva consentito lo sviluppo di un’importante scuola scenografica locale. Dopo aver iniziato la sua carriera a Reggio, Carnevali si era trasferito a Milano per proseguire gli studi artistici ed era entrato in contatto, in particolare, con le decorazioni dell’architetto Giocondo Albertolli (1742- 1839) in Palazzo Reale, da lui prese a modello. Nel 1801 era ritornato definitivamente in patria, dove gli fu affidato l’incarico di insegnare “Ornato e Prospettiva” nella scuola d’arte reggiana. 

Con queste credenziali si era presentato ai conti Spalletti Trivelli, dai quali aveva avuto l’incarico di eseguire la decorazione di alcune stanze del piano nobile. Nel salone delle feste con un mirabolante effetto di trompe l’oeil (tradotto letteralmente dal francese in “inganna l'occhio”) Carnevali dilata lo spazio con un finto loggiato a colonne corinzie che sfonda entrambe le pareti laterali, da cui si intravede un cielo solcato da nubi e basse fronde d’albero ai margini dell’inquadratura (fig. 5). 

Foto 5 - Salone delle feste dei conti Spalletti Trivelli

 

Come riferimento per la fastosa decorazione, l’artista si ispira agli affreschi eseguiti da Baldassarre Peruzzi intorno al 1519 nella sala delle prospettive alla villa Farnesina a Roma.

Sulle balaustre che aprono al cielo Carnevali dipinge due grandi finte tende di broccato, quasi una sigla personale che ricorre anche in altre sue opere e in particolare, nel palazzo, nella sala chiamata appunto “dei tendaggi” da questo raffinato motivo, dove sono raffigurate anche sovrapporte a finte nicchie con vasi ricolmi di fiori campestri.

Nella restituzione delle fastose architetture ispirate ai monumenti romani, Carnevali prese a riferimento anche le incisioni del veneziano Giovan Battista Piranesi (1720- 1778), nelle quali la maestosità delle architetture e i repertori decorativi dei monumenti romani erano vicini alla sua sensibilità di scenografo. 

Divenuto di proprietà pubblica alla fine dell’Ottocento, il palazzo ospitò in seguito la Banca d’Italia e la sede delle Poste e Telegrafi fino al 1940, quando l’acquistò la Banca Agricola Commerciale di Reggio Emilia, l’attuale Credito Emiliano (Credem), fondata trent’anni prima, nel 1910.

Le sale dell’antico palazzo Spalletti Trivelli furono quindi destinate a divenire gli uffici della sede della direzione generale e la presidenza di Credem.

A partire dagli anni settanta del secolo scorso, iniziarono quindi i lavori di ristrutturazione dell’edificio e un riallestimento dei fastosi interni, con l’intenzione di restituire alla dimora storica il fasto originario, ispirato ai palazzi barocchi romani del Seicento e del Settecento (figg. 6, 7), nella quale venivano progressivamente allestiti gli arredi e la raccolta di dipinti antichi. 

Foto 6 - Sala da pranzo dei conti Spalletti Trivelli


Foto 7 - Salone di palazzo Spalletti Trivelli

 

Gli ambienti, che non vanno percepiti in un’ottica museale, ricoprono oggi la funzione di sale destinate a riunioni di lavoro e ospitano le collezioni d’arte della banca.

La collezione di pittura antica vanta opere dei più importanti maestri emiliani tra l’inizio del Cinquecento e la fine del Settecento, con capolavori, tra gli altri, di Lorenzo Costa, Francesco Francia, Denys Calvaert, Guido Reni, Guercino, Alessandro Tiarini, Camillo Procaccini, Giovanni Lanfranco, Donato Creti, Giuseppe Maria Crespi.

Oltre ai dipinti, Credem ha nel tempo deciso di acquisire opere di arte orientale, che nel tempo hanno dato vita a una delle più rare collezioni private in Italia, che comprende numerosi oggetti in smalti cloisonné, porcellana, bronzo e terracotta provenienti da Cina, Giappone, Mongolia, Birmania, Cambogia, Thailandia e in arte Gandhara, sviluppatasi nel Pakistan settentrionale e in Afghanistan.

Nei primi anni novanta è stata allestito nel cortile del palazzo l’importante gruppo bronzeo con Adamo ed Eva di Arturo Martini (fig. 8), eseguito tra il 1931 e il 1932 e proveniente da Villa Ottolenghi ad Acqui Terme, dove ornava il giardino chiamato “Il Paradiso Terrestre”. 

Credem continua a prendersi cura del patrimonio di storia e cultura ereditato e a renderlo sempre vivo e in continuo arricchimento. 

Foto 8 - Cortile di palazzo Spalletti Trivelli, al centro il gruppo bronzeo di Arturo Martini